È un tempo difficile, un tempo sospeso. È tempo di ripartire
di Demetrio Chiappa, Presidente Rete DocÈ un tempo difficile, un tempo sospeso.
È difficile anche scrivere un editoriale con la sensazione di affrontare un tema già trito e ritrito, e parlare di crisi del settore della musica e dello spettacolo mi dà la sensazione di non aver più niente di nuovo da dire. Tutti nel settore ne abbiamo parlato fin dal marzo 2020 e come dicevamo già allora, il nostro mondo sarà l’ultimo a ripartire. Allora però pensavamo che durasse pochi mesi e tutti pensavamo che lo scorso giugno avremmo tutti lasciato alle spalle gli effetti della pandemia e del lock-down primaverile, se non addirittura dimenticato.
Sappiamo purtroppo che non è andata cosi: stiamo ancora facendo i conti con una ripartenza sospesa, e con la fatica e insofferenza di uno “start” spostato ogni mese sempre più avanti, fatica che in molte persone sta generando rabbia, se non addirittura comprensive forme di depressione, più o meno pesanti.
La cosa più chiara che è apparsa da subito agli occhi di tutti è che sono emersi in ogni settore le criticità e che nella normalità di prima accettavamo senza protestare: vuoti normativi che non contemplano e non danno tutele ai lavoratori dello spettacolo, ministeri che non avevano contezza di come funziona il nostro settore, di quali imprese e professionisti muovono l’economia della musica in Italia, avendo nei propri database solo le attività che gravano sulle casse delle stato, e non sapendo che l’economia dello spettacolo in italia è costituita dai concerti grandi e piccoli, dalle feste di piazza e dalla musica e spettacoli nei locali e teatri, e dagli strumenti e attrezzature che centinaia di migliaia di persone acquistano e suonano nelle cantine e in ogni spazio domestico possibile.
E per molti c’è stata la consapevolezza che da soli non c’è storia, c’è stato il bisogno di mettersi insieme, di contarsi per contare e raccontare il bisogno di esistere: esistono artisti di musica teatro e danza, esistono tecnici di ogni competenza e settore, così come esistono professionisti che mettono tutti questi in condizioni di lavorare; parlo di chi fa management, booking, produzione di eventi, ma anche di chi gestisce locali, club, spazi di eventi, service e produttori di strumenti musicali, e cooperative.
E sono nate nuove associazioni alcune più aggreganti ed inclusive e altre meno, per ribadire il diritto di esistere, di essere visti e riconosciuti. Molti di questi hanno fatto un gran lavoro di comunicazione e raggiunta la visibilità politica e mediatica hanno iniziato a fare proposte concrete per riformare il settore dopo avere sentito le più ampie platee, altri ancora fanno muro per avere l’esclusiva nelle relazioni, lavorando non verso ma “via da” o “contro” altri, contribuendo a generare una guerra tra poveri che, come la storia racconta, non generano mai vincitori.
In pochi sanno che gli stessi temi e le stesse battaglie sono già state affrontate da almemo 30 anni da chi da sempre lavora mi questo settore. Fin dalla seconda metà degli anni 80 gli artisti e tecnici sentivano il bisogno di essere liberi di fare una professione che per sua natura non può avere datori di lavoro (o padroni, se qualcuno preferisce ancora usare questi termini d’altri tempi per il nostro settore), e allo stesso tempo sentiamo il bisogno di avere tutele; sentivano il bisogno di non esser costretti a lavorar in nero perché nessun committente era organizzato per gestire le particolarità dell’ENpals, e allo stesso tempo volevano che il valore della propria prestazione professionale fosse riconosciuto al meglio, autogestendo tra di loro il proprio mestiere.
Si voleva lavorare in regola, come le altre categorie di lavoratori in Italia, avere un futuro e non avere padroni. E si voleva un reddito che non tassasse le spese e le decime di migliaia di km che chi lavora in questo settore era corretto a fare, e che la partita IVA non tutelava.
Per questo questi artisti e tecnici fin dalla fine degli anni 80 hanno creato le cooperative di autogestione, che ora raggruppano oltre il 50% dei professionisti dello spettacolo, che con il lavoro intermittente hanno avuto le massime tutele immaginabili: disoccupazione, assegni familiari, maternità, congedi parentali, copertura assicurativa sugli infortuni e, per alcuni ormai, anche la meritata pensione.
Ora la pandemia e la non conoscenza del sistema da parte di molti porta a combattere le guerre tra i poveri mettendo alla gogna le cooperative e il contratto a chiamata, senza sapere che chi attacca le cooperative attacca gli stessi artisti e tecnici e che eliminando il contratto a chiamata si torna indietro di 30 anni…si riparte da zero.
Ricordo come con la famosa Legge sulla sicurezza sul lavoro 626/94 i tecnici vollero aderire e avere le stesse tutele di salute e sicurezza degli altri settori, e come ci incontravamo con i servizi per interpretare e preparare la modulistica necessaria a lavorare in regola anche su questi temi.
Ricordo quando dopo l’incidente di Trieste e Reggio Calabria le cooperative organizzarono con le imprese il “tavolo legalità e sicurezza” che ha modificato il D.lgsl. 81/08 a tutela del nostro settore, così come fondamentale è stata la stipula del CCNL fimato dalle maggiori OOSS nel 2014 e fresco di rinnovo nel 2020, dove finalmente tutte le figure professionali del nostro settore sono state declinate e messe a tutela.
Delle guerre, i ricordi più brutti, tra i tanti orrori, sono le guerre civili ed i massacri tra pari, e se è vero che questa pandemia è assimilabile ad una guerra, evitiamo di azzannarci tra noi, e soprattutto, facciamo tesoro di oltre 30 anni di storia di tutela dei lavoratori dello spettacolo, per non essere mai più vittime ma protagonisti.
Demetrio Chiappa
Presidente Rete Doc