La digitalizzazione come impatto e come sfida del lavoro
di Piero Tagliapietra, Presidente HypernovaA partire da marzo 2020 abbiamo assistito a un’accelerazione tecnologica molto forte: imprese, cittadini, scuole ed enti si sono visti costretti ad abbracciare un cambiamento che era stato più volte posticipato se non addirittura ritenuto impossibile.
Pensiamo a quante aziende, nonostante ci siano da anni casi eccellenti di gestione delle persone da remoto o in modalità ibrida, pensassero non fosse possibile far lavorare a casa i propri dipendenti. O alle scuole o agli enti formativi che non credevano di poter formare le persone senza un’aula e una presenza in carne ed ossa.
Una drammatica pandemia ha costretto tutte queste realtà ad accettare un cambiamento che da molto tempo (forse troppo) veniva rimandato, soprattutto in Italia, con tre conseguenze importanti: la rapida digitalizzazione ha messo a nudo i debiti organizzativi di molte imprese, evidenziato la carenza di competenze digitali e ricordato come il resto del mondo sta cambiando.
Il primo impatto di questa rapida digitalizzazione è l’evidente debito organizzativo dove, con questo concetto, intendiamo la scelta di posticipare l’organizzazione dei processi nelle imprese (perché “tanto puoi chiedere al collega”) e di ignorare differenti modalità di gestione basate sui risultati e non solo sull’orario passato all’interno degli uffici.
La digitalizzazione infatti non è solo un tema tecnologico (dotarsi di attrezzature informatiche o software per lavorare da casa), ma di processi e di cultura. Come formiamo i colleghi che non vediamo più tutti i giorni? Dove finiscono i documenti e a chi posso chiedere? Come motivare persone che vivevano quasi per il cartellino? Tre domande lasciate aperte e che rendono il lavoro, dopo un anno di lavoro da casa, molto molto complesso.
In molti casi abbiamo assistito allo smart working come “la continuazione dell’ufficio, ma con altri mezzi” senza ripensare le modalità del lavoro distinguendo tra le attività sincrone e asincrone. Pensiamo poi alle chat aziendali, nate improvvisamente, dove tutti possono interrompere tutti abbassando drasticamente i livelli di produttività.
Il secondo impatto è la carenza di competenze digitali sia di base che avanzate. Pensiamo per un secondo alle video chiamate e a quante volte il nostro interlocutore sia in controluce o non si riesca a sentire causa mancanza di cuffie o microfono. Si tratta di piccole accortezze finalizzati a ridurre la video call fatigue (https://intenseminimalism.com/2021/how-to-reduce-video-call-fatigue/?fbclid=IwAR2MB404mXOJJBn_VauAZ0oMlTjcVIORjzzCiNFudZ0ejx2IusPQCZf-3zw), ma che mostrano come non si sia abituati alla cura per queste attività.
Se poi iniziamo a scendere verso l’abitudine alla comunicazione online e iniziamo a parlare di piattaforme, competenze e attitudini, ecco che si apre una voragine. Se leggere e far di conto sono considerate competenze di base, l’uso di Excel e Word (per citare due software famosi) non lo sono, ed è assurdo in quanto la capacità di usare un foglio di calcolo (e le formule base), scrivere e formattare un testo, creare alcune slide sono competenze di base.
Allo stesso modo avere un’idea di che cosa è un database e come è strutturato, logiche di base di un social network non sono competenze avanzate: sono richieste di livello minimo che tutti dovrebbero avere. Tuttavia in molti casi e in molte imprese già chiedere a una persona di rinunciare alla sua calcolatrice appare un tabù.
Infine, il terzo impatto è un allargamento delle differenze: mentre alcuni aspettano il ritorno alle vecchie modalità, alcune aziende hanno capito che è necessario ripensare buona parte delle attività e del modo in cui si lavora. Al termine quindi della situazione emergenziale ci troveremo con imprese a due velocità: chi avrà imparato a correre, avrà competenze, organizzazione e persone e chi invece proverà a ripartire come se fosse ancora febbraio 2020.
Le differenze a quel punto saranno sempre più difficili da colmare anche per la mancanza di talenti e competenze (che abbiamo detto essere limitate).
Se questi tre possono essere gli impatti principali della digitalizzazione come possiamo mitigarli?
Innanzitutto è necessario pensare a dei progetti di formazione nuovi: la digitalizzazione è un modo di lavorare. Se infatti pensiamo di risolvere il problema della mancanza di skill a colpi di corsi di 50 ore c’è un problema: il digitale avanza costantemente e dobbiamo dare alle persone gli strumenti perché continuino a formarsi. È il cosiddetto lifelong learning dove alle persone verrà chiesto di imparare, disimparare, ripensare le proprie competenze per tutta la loro vita, personale e lavorativa.
In seconda battuta dovremo ripensare al modo in cui effettivamente si fanno le attività passando da organigrammi e job description a una organizzazione più dinamica e al focus sulle attività. La digitalizzazione porta infatti con sé un aumento della complessità generale delle attività e la necessità di iper specializzazione.
Diventa quindi fondamentale poter riorganizzare costantemente l’impresa (superando i concetti di ruoli e mansioni) e individuare rapidamente le persone in possesso delle competenze per riuscire a realizzare il lavoro nel modo più efficiente possibile. Ovviamente questo rappresenta un cambio di paradigma totale per molte imprese e alle quali si associa un cambio organizzativo non indifferente.
Un cambiamento che è sopratutto culturale: se i modelli cooperativi possono essere forzati, le nuove modalità collaborative (chiave per il successo) richiedono un ripensamento e un supporto molto più intenso. Prendere delle persone e farle lavorare bene insieme rappresenta una sfida nuova che richiederà anche la nascita di nuove figure all’interno delle imprese che dovranno velocizzare la capacità di socializzare dei colleghi perché svolgano le attività nel miglior modo possibile nel più breve tempo possibile.
Molte delle sfide introdotte dalla digitalizzazione sono ancora aperte, ma ogni giorno che passa il divario tra chi ha iniziato a muoversi, tra chi si è digitalizzato e chi si sta anche auto-formando si sta ampliando.
Per tutti coloro che vogliono un futuro tra uno, due o tre anni è il momento di mettersi al passo degli altri.