Architettura di una canzone, il processo di Karma Clima come rigenerazione umana
di Aldo Macchi, Direttore ArCoEsiste un metaverso che non ha bisogno di visori, realtà aumentata, intelligenza artificiale. È l’universo artistico di chi vive di musica e compone album che vanno oltre l’esigenza discografica ma hanno l’onere di inseguire ardentemente l’esigenza artistica di chi lo compone. Una sfida con sé stessi, un viaggio verso l’inconscio e ritorno, con l’ispirazione a metà strada. È un’esperienza fatta di incontri, di punti di riferimento, di ricerca e di scoperta.
Quando a vivere questo processo, non è un singolo artista, ma una band, ecco che tutto si complica ulteriormente e l’equilibrio è un concetto quasi utopico, perché ogni viaggio interiore deve poi incontrare quello del rif di basso, e sposare l’aria di archi che un altro membro ha pensato come perfetto per quella situazione.
Esistono poi i concept album, dove si aggiunge un ulteriore livello architetturale. Non c’è solo la struttura canzone, c’è la struttura narrativa di un progetto in grado di dividere il racconto in capitoli, dove la storia è raccontata coralmente da ogni parte della band.
Scrivere un album, farlo davvero, è una lotta continua verso qualcosa che calzi a pennello con il contesto e con ciò che volevi esprimere fin dal principio. È una ricetta al buio, dove conosci a memoria gli ingredienti ma puoi usarne solo alcuni, perché gli altri verranno aggiunti dai membri della band, a loro discrezione per quantità, qualità e intensità. E poi c’è un produttore, in grado di incanalare tutti questi contributi verso il prodotto finale, ma senza dover imporre la propria visione sul tutto, proprio per quell’equilibrio agognato fin dal principio.
Karma Clima ha deciso che tutto questo sarebbe stato troppo semplice, e ha così la particolarità di avere due elementi in più rispetto a quanto descritto fino a qui: interamente scritto in diverse residenze artistiche, con studi mobili, allestiti laddove la vita ha pensato altro per quei luoghi, e un album decisamente differente rispetto a ciò a cui i Marlene Kuntz hanno abituato i propri fan.
La band ha deciso di dare una nuova vita all’architettura delle loro canzoni, fin dalla fase delle composizioni. Per farlo, senza che fosse una follia, c’è da subito stato bisogno di alcuni paletti in grado di offrire un appiglio nei momenti di fatica.
Identico non significa identitario, e diverso non significa migliore o peggiore. Ecco, dunque, la ricerca di suoni nuovi, che fossero semplicemente un diverso modo di essere Marlene. Sempre fedeli a sé stessi, ma con un linguaggio differente. Come un borgo che viene ricostruito per resistere all’abbandono diventando un riferimento per il futuro. Come una birra che fermenta lentamente per diventare una bevanda unica, ed essere paragonata a uno champagne grazie all’intuizione di chi, prima di tutti, ha creduto in quello che il tempo avrebbe fatto emergere. Come un insieme apparentemente isolato di case che lottano per resistere: resistenza in ogni sua forma, resistenza che diventa accoglienza, cultura, vita.
Per poter cambiare, serve sapere chi sei. E in questo la band ha espresso una consapevolezza fondamentale per iniziare questa esperienza che, soltanto nei primi mesi, ha già raccolto tanti contributi esterni, sostegno, partecipazione. Tanto dal contesto artistico, quanto territoriale e di affetto della gente. Karma Clima deve esprimere il valore della resistenza al declino climatico dei nostri tempi. Una risposta alla deriva individualista delle nostre società. Una riscoperta dei valori di collettività, di arte, di intimità e condivisione. Una call to action, ma anche uno specchio di chi siamo oggi. I monti cuneesi come sfondo, e le sessioni in studio come check quotidiano di dove si è arrivati.
La sfida per il clima è fatta di tanti piccoli, fondamentali, costanti passi per migliorare la nostra quotidianità e permetterci di avere un domani. Dobbiamo sradicare le nostre abitudini, arrivare al problema, affrontarlo e cambiare il nostro approccio alla vita. Senza aspettarci che ci sia qualcun altro a farlo, ma perché convinti che è l’unica cosa giusta da fare per avere una speranza.
Guardare da fuori la nascita di un album come Karma Clima, permette di incontrare tante similitudini tra la sfida dell’intero progetto e l’atteggiamento dei singoli attori coinvolti. Ci sono fan che si definiscono tali perché passano intere giornate ad ascoltare un disco della propria band preferita. Ma ci sono artisti che passano intere giornate su un giro di basso perché non è ancora la formula giusta. Lo leggi nei loro occhi, lo senti nel loro camminare assorti lungo le stesse 4 mattonelle, canticchiando note che ancora non ci sono da nessuna parte, e avvolgono parole che ancora non sono state scritte.
Le parole che si lasciano ispirare da un sentiero di montagna in diverse gradazioni di bianco e verde. Il bianco della nebbia che lascia intravedere quello della neve. Il verde dei prati e dei boschi intervallato da un altro bianco, più soffice della neve e un po’ meno umido della nebbia, quello delle pecore che vivono le sponde cuneesi del Monviso.
E quel giro di basso risuona, per otto ore, in modo sempre più profondo, andando sempre più giù. Ricordando le note di due giorni prima, ma anche le emozioni dell’incontro avuto in mattinata. Ricordando le proprie radici, i propri obiettivi, quello che si sta andando a creare: sempre insieme, come nel primo album di quasi trent’anni fa. Allora fu “Catartica”, mai termine fu più azzeccato per esprimere in una parola quello sguardo comparso sul volto di Lagash al termine della giornata in studio. “Ce l’abbiamo, mettila da capo”.
Dita sul basso, sole dietro al Monviso, viandanti verso un the caldo, un sorriso sul volto di Taketo. Presa diretta. Ce l’abbiamo davvero, la canzone c’è. Ed è una rigenerazione umana per chi quel giorno l’ha sentita.
Le foto sono di Michele Piazza