Il viaggio di Karma Clima parte e arriva a casa
di Aldo Macchi, Direttore ArCoLa lingua italiana è spesso identificata come la più poetica e pregna di sfumature lessicali che ne danno una declinazione in base alle emozioni. Eppure ci sono esempi dove l’apparente freddo inglese offre una profondità adatta a far germogliare pensieri. Basti pensare a una semplice parola come “casa” che in lingua anglosassone assume due significati. La casa fisica, quella fatta di mattoni, che viene chiamata “house”. E poi c’è la casa emotiva, quella privata, quella familiare, il porto sicuro, la “home”. Quel concetto che in italiano può essere espresso con “casa nostra”, una sorta di “a me mi” concesso dalla lingua italiana per esprime in due parole quello che gli inglesi fanno con una. È paradossalmente una delle tematiche centrali della filosofia del viaggio. Uno viaggia per vivere quell’esperienza che vorrebbe trovare a casa propria. Una sorta di arrivo laddove, teoricamente, dovrebbe esserci la partenza.
Ma non è un trattato di filosofia quello che si sta scrivendo, anzi, è quanto di più concreto possa esserci. È l’esperienza di una residenza, che è un viaggio, che è “nostro mizoun” come si dice in occitano, o semplicemente “ca nostra” per dirla in dialetto cuneese.
La lingua occitana è spesso identificata con la lingua romanza provenzale propria della metà dell’ottocento. Un idioma che a fatica è stato riconosciuto in modo ufficiale in un’area geografica molto legata alla lingua francese parigina, con la sua centralità che poco ha concesso alle minoranze linguistiche. Eppure, non solo in ambito letterario, l’occitano si è diffuso in tutti quei borghi rurali con scarsa densità di popolazione. Ambienti di montagna, prevalentemente: ed è proprio con questa lingua che l’espressione “a nostro mizoun” va ad identificare “a casa nostra”.
Pensate quindi di incamminarvi in un sentiero di montagna perennemente in salita, e di proseguire verso una vetta. È usanza ben nota a chi è avvezzo a questo tipo di esperienze, che i viandanti si salutino con un sorriso accogliente quando si incrociano lungo i sentieri. Non so quanti sappiano davvero l’origine di tutto questo, ma lo fanno, in automatico, come una tradizione che si tramanda spontaneamente appena si ha indosso un paio di scarponcini e si ha intorno solo verde e rumore di campanacci di mucche al pascolo.
Bene: ora immaginate di imbattervi in un borgo che non si sviluppa in orizzontale, come solitamente i centri urbani, bensì in verticale, con piccoli agglomerati di case di roccia che seguono un ipotetico corso d’acqua che non c’è. Uno scenario che solitamente viene riprodotto nei presepi che appartengono al passato. Quelli con le casette che riempiono il contesto senza rubare la scena alla capanna della natività.
Ecco qui non c’è alcuna capanna e negli ultimi vent’anni sono nati più alpaca che bambini. Qui dove l’occitano e il cuneese si incontrano, dove chiunque ti saluta non per tradizione, ma perché stai camminando in casa sua e non è una violazione, anzi, è un onore che va celebrato con un perpetuo benvenuto. Qui è Ostana, casa nostra, almeno per ora, almeno per un po’, almeno ogni volta che ci penseremo e ci ritorneremo.
Chi vive qui, chi è tornato a farlo dopo che il borgo ha rischiato l’abbandono, usa quel “casa nostra” non solo per sé, ma per chiunque passi di lì. Ogni scorcio è un salotto, ogni cittadino una storia. È una storia di viaggio fatto per rincontrarsi. Di artisti che si isolano per poter incontrare sé stessi. Di ritratti fatti a penna, di 50 tonnellate di pietra spostate in un weekend per costruire un paese. È l’esperienza di vita di chi da trent’anni rifugge così tanto la solitudine intesa come abbandono, da riscoprire il significato della comunità intesa come cooperazione.
È il luogo dove la residenza sociale incontra quella artistica. È ispirante in ogni sua forma, condizione, clima.
È qui che ha inizio l’esperienza di Karma Clima in quel viaggio fatto di composizione, compimento ma che andrà oltre la semplice uscita di un disco. Karma Clima ha messo qui le sue radici per diffondersi ovunque. Ci saranno altre residenze, altri incontri ed altre emozioni, come in ogni viaggio. Come nella filosofia del viaggio, quando parti per andare laddove tu possa sentirti protetto, mettendoti alla prova e rischiando di fallire. Ma lo fai perché ne senti l’esigenza, perché devi definirti, e sentirai di essere arrivato, soltanto quando potrai dire di essere “a nostro mizoun”.
Le foto sono di Michele Piazza