Secondo Principio: Controllo democratico da parte dei soci
di Aldo Macchi (Direttore ArCo) con Giovanni Chiesi (Legacoop Toscana) e Giacomo Carlucci (Fleetsave)“Le cooperative sono organizzazioni democratiche, controllate dai propri soci che partecipano attivamente alla definizione delle politiche e all’assunzione delle relative decisioni. Gli uomini e le donne eletti come rappresentanti sono responsabili nei confronti dei soci. Nelle cooperative di primo grado, i soci hanno gli stesso diritti di voto (una testa, un voto), e anche le cooperative di altro grado sono ugualmente organizzate in modo democratico”.
Un principio molto attuale per le nuove generazioni. Una vera e propria sfida per il modello cooperativo stesso, chiamato a mettere in pratica il proprio dna, concretizzando la partecipazione democratica in un percorso di quotidiano confronto generazionale. Per farlo, però, c’è un linguaggio che viene incontro: quello della gamification.
Il valore di una testa un voto
Di Giovanni Chiesi – Legacoop Toscana
Quando parliamo di formazione siamo inseriti in un contesto in cui c’è una certa egemonia, a livello di come si fa economia: il capitalismo consumistico. Chi si occupa di promuovere la cooperazione, in Università, dovrebbe riuscire a stimolare l’idea che può esistere, anzi, che esiste un modello alternativo e che questo modello è sotto rappresentato.
Il movimento cooperativo deve riuscire ad evitare che il nostro modello venga visto come un modello solidaristico, legato alle buone intenzioni, all’essere generosi. Perché non è così: il cooperativismo è un modello legato al fare le cose insieme, in modo paritario.
Quello che è veramente attrattivo per i giovani, è riuscire a trasportare il principio di democrazia cooperativa, il controllo democratico generale della cooperativa, alla democrazia sul posto di lavoro, o la democrazia nel consumo, e così via. Personalmente vedo una forte esigenza, da parte delle nuove generazioni, un forte bisogno di democrazia sul posto di lavoro, che è la capacità di scegliere insieme le modalità di lavoro. Cosa che si adatta anche al consumo e che è riassumibile nel significato e nel valore di una testa un voto. È un valore incredibilmente attrattivo e con un grande futuro, perché è considerato una modalità diretta di avere a che fare con il principio democratico. Vivendo così la cooperativa, conseguentemente, si potrà vivere anche la partecipazione democratica intesa come esserci alle assemblee, o alla direzione della cooperativa. Ma deve, appunto, essere una conseguenza: non possiamo permetterci che la partecipazione sia sinonimo solo di presenza alle assemblee, a quel punto sarebbe un semplice rito. La vera partecipazione alla vita cooperativa è ciò che risponderebbe alle esigenze dei giovani di sentirsi parte di qualcosa che tende a loro.
La gamification per comprendere
il valore delle persone
Di Giacomo Carlucci (Fleetsave)
Ci sono dei giochi che sono proprio cooperativi di natura, dove raggiungi l’obiettivo finale, solo se cooperi con gli altri giocatori. È l’opposto, per fare un esempio, di quello che è Risiko, dove tu hai la tua armata e devi vincere raggiungendo i tuoi obiettivi e battendo gli avversari. Con Fleetsave abbiamo sviluppato giochi sulla sostenibilità ambientale. I partecipanti, con azioni condivise, hanno la possibilità di ridurre o aumentare l’inquinamento, con l’obiettivo finale di salvare il pianeta. Con un simile approccio, la visione del singolo, in contro tendenza rispetto al gruppo, rischia di portare al non raggiungimento dell’obbiettivo, e quindi a perdere nel gioco. In tutto questo c’è tanto di cooperativo.
Il movimento cooperativo, in questo senso, può migliorare ancora molto. Abbiamo avuto un buon riscontro, c’è tanto di innovativo in questo settore. Quando abbiamo iniziato a parlare di gamification, era qualcosa di totalmente nuovo. Ci aiuta nel coinvolgimento dei giovani, anche a livello di storytelling. Penso a un altro gioco, dove raccontiamo di essere una flotta di pirati: il consiglio di amministrazione diventa il consiglio degli ammiragli, i project manager sono capitani, e i mozzi sono i volontari. Poi ci sono i pirati, che sono gli operatori.
Giocare a giochi di ruolo come questi, apre al dialogo, anche intergenerazionale, ma soprattutto, durante il gioco, annulla tutte le differenze. Interpreti un personaggio che ti è stato assegnato, ma non per forza è quello che ricopri nella vita vera. Così capita che il ragazzino, volontario, sia chiamato a ricoprire il ruolo del presidente e viceversa. Così per capirsi a vicenda si è chiamati, per forza, a interfacciarsi e ad ascoltarsi, sotto un profilo completamente diverso dal solito. Questo aiuta tanto, rendendo il confronto molto più agile.
Questo modello si apre anche ad altri contesti, alla società. Cito un altro gioco di ruolo, dove i migranti interpretavano i funzionari dell’ufficio passaporti e i funzionari quello dei migranti. Così tu, italiano, entri in una stanza e ti confronti con qualcuno che non capisce la tua lingua, ti chiede il passaporto, e tu gli rispondi in un’altra lingua. Questo perché oggi difficilmente ai migranti viene risposto nella loro lingua originaria, al massimo in inglese, ma non è scontato e non è detto che di fronte tu abbia una persona che parli inglese. Gli utenti hanno così potuto capire sulla propria pelle cosa voglia dire affrontare tutte le difficoltà che un migrante può incontrare una volta arrivato su suolo italiano, fin dal primo impatto.